Il tema del Made in Italy, che sull’onda della crisi e della concorrenza delle economie emergenti da mesi infiamma il dibattito sul futuro delle nostre imprese, è basato su un fondamentale equivoco: cosa può dirsi realmente “fabbricato in Italia”‘ Si può considerare italiano il prodotto realizzato all’estero da aziende italiane’ O quello realizzato in Italia da aziende straniere, per esempio cinesi’ O quello fatto nel nostro paese, ma con materiali e qualità finale inferiori agli standard tradizionali impliciti in qualcosa di marchiato “Made in Italy”‘ E ancora: si può definire tale ciò che nasce senza il rispetto delle basilari norme di tutela del lavoro e dei lavoratori’
Dipendono anche dalla risposta a questi interrogativi sia la natura e il contenuto dei provvedimenti che si invocano a difesa delle nostre produzioni artigianali e industriali, sia le strategie da mettere in atto per il sostegno del prodotto nazionale sul mercato globale.
Secondo il Consorzio Centopercento Italiano – l’associazione con sede a Scandicci che, facendo leva sul sistema pellettiero toscano, riunisce oggi oltre 70 imprese nei diversi settori di eccellenza – non ci sono dubbi: “Il marchio made in Italy può e deve rappresentare unicamente prodotti realizzati in Italia, da imprese italiane, con tecniche, gusto, design, know how italiani e nel rispetto delle norme che nel nostro paese tutelano la dignità e la qualità del lavoro di chi produce”, dice il presidente Andrea Calistri.
Per questo la politica alla quale il Consorzio intende d’ora in poi improntare la propria attività è quella del “Made in Italy a tolleranza zero”: no a trucchi, alchimie, ambiguità , triangolazioni. “Non esiterei a indicare i soci del consorzio come gli ultimi difensori del Made in Italy, i paladini dell’italianità totale in cui deve identificarsi un marchio così prestigioso”, che va tutelato con una azione basata su cinque “pilastri”: lotta alla contraffazione, tracciabilità del prodotto, valorizzazione del prodotto, convergenza di azioni, rimodulazione del distretto industriale”.
Eccoli, i cinque pilastri:
1) Lotta alla contraffazione. E’ la prima e più immediata esigenza. Combattere la contraffazione consente di arginare la concorrenza illegale e lanciare ai contraffattori un messaggio preciso: esistono delle leggi che vengono fatte rispettare, senza eccezioni né adattamenti.
2) Tracciabilità del prodotto. E’ il postulato di ogni seria lotta alla contraffazione. Rendere “tracciabile” il Made in Italy consente di ricostruire a ritroso tutta la “storia” dell’oggetto attraverso le tappe della filiera produttiva: dalla materia prima ai canali della distribuzione. Solo la capillarità dà reale efficacia ai controlli.
3) Esaltazione della “cultura” legata al prodotto. E’ il passo successivo e superiore alla propaganda: diffondere presso il consumatore, e in generale presso l’opinione pubblica, la consapevolezza del valore intrinseco del prodotto che acquista, valore dato non solo dalla sua utilità diretta e dal marchio, ma dalla storia, la capacità , la tradizione di chi lo realizza e che ne giustifica, attraverso la qualità , il costo.
4) Convergenza delle azioni di tutela. Per produrre il massimo degli effetti per efficacia e durata, occorre che le azioni di difesa e valorizzazione del Made in Italy siano coordinate e convergenti, facciano parte cioè di una medesima strategia.
5) Rimodulazione del distretto industriale. Occorre progettare una nuova ingegneria di rete produttiva che riesca a massimizzare il sapere diffuso sul territorio e metterlo a sistema tra le imprese, generando un ciclo virtuoso di miglioramento e aumentando così la capacità della rete stessa di stare sui mercati mondiali. Un sistema di interrelazioni tra imprese che azzeri le differenze dimensionali ed abbia contemporaneamente funzione di ottimizzatore’ di rete produttiva da una parte e “incubatore’ di nuove idee e nuove proposte aziendali dall’altra.
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