No, non è una bufala: l’incantevole falesia bianca della Scala dei Turchi, in provincia di Agrigento, che si erge a picco sul mare, sempre più ambita meta di turisti siciliani e non, è di proprietà privata ed appartiene al Sig. Ferdinando Sciabbarrà, le carte del catasto di Realmonte “cantano”.
Già da anni il Comune cerca di trovare una soluzione per risolvere una così macroscopica “sbavatura” tecnica del sistema che lascia un bene così prezioso di pubblica attrattiva in mano ad un privato, con tutto ciò che ne può conseguire (es. apposizione di limiti alla fruizione, deperimento, etc.).
La preoccupazione più grande attiene infatti agli eventuali interventi di manutenzione, nonché la gestione di un traffico di presenze sempre più elevato al fine di salvaguardare il bene da eventuali danneggiamenti, vieppiù che è diventato un fiore all’occhiello della zona.
Ad oggi pare che si stia discutendo di un accordo che dovrebbe trasferire la proprietà del bene totalmente al Municipio, mentre al privato resterebbe il 70% dei diritti d’immagine della Scala dei Turchi (il 30% sarebbe di proprietà pubblica).
La famiglia Sciabarrà ha peraltro creato e depositato un proprio brand “Scala dei Turchi” che gli dà diritto ad ottenere il pagamento delle royalties per ogni uso commerciale dell’immagine e del nome dell’area.
D’ora in poi quindi saranno inibite le foto scattate dalle barche che ormeggiano in prossimità della scogliera, pena il pagamento di una royalty al titolare del “copyright”?
Inutile dire che l’argomento oltre a preoccupare i selfie addicted, è già campo di scontro tra i politici locali, probabilmente più propensi ad una misura secca di esproprio, senza passare dal via.
Ma è davvero legittimo scandalizzarsi di fronte ad un siffatto tipo di accordo?
Per capire meglio la questione, occorre specificare che non è in discussione un qualsiasi bene privato, né tanto meno, a parere della scrivente, si può fare appello al concetto di opera dell’arte, anche semplicemente perché autore della Scala dei Turchi non è un architetto o un designer, ma Madre Natura.
Si deve quindi, ad avviso della scrivente, fare appello al codice dei beni culturali (DLGS 42/2004) secondo cui quando in un bene di proprietà privata sia riconosciuto sussistente un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico tale da poterlo classificare come bene di interesse culturale, possa essere adottato un regime di valorizzazione che passi per il tramite di accordi privato ed ente pubblico (art. 112 DLGS 42/2004).
Nessuno scandalo quindi se il legittimo proprietario, data l’importanza del bene e le accresciute quotazioni di popolarità, è in grado di conquistare una percentuale così alta dei proventi.
In ogni caso, soggetti al pagamento di una royalty saranno solo i fotografi professionisti, che utilizzino per fini commerciali le immagini, mentre è il privato è libero di girare video e scattare tutte le foto e selfie che voglia, se per uso personale.
Esatto, “se per uso personale”.
Ovvero, se la foto è destinata ad un album o alla memoria del proprio computer o smartphone il privato non ha preclusioni, ma lo scenario cambia se si esce dall’uso personale.
Si, perché fuoriesce dall’uso personale la pubblicazione delle foto personali su Facebook (o altri social network) in quanto gli stessi oltre a far sottoscrivere agli utenti una dichiarazione di titolarità dei diritti sui contenuti pubblicati (e il titolare dei diritti sulla Scala dei Turchi è indubbiamente ad oggi solo e soltanto il Sig. Sciabarrà), gli stessi acquisiscono dagli utenti preventivamente, all’atto della registrazione alla piattaforma, una sorta di licenza sulle immagini, tale per cui le stesse in astratto potrebbero essere riutilizzate.
Quindi, d’ora in poi attenzione al copyright del Sig. Sciabbarrà sulla Scala dei Turchi e a leggere bene le condizioni di accesso ai social network!
Per saperne di più: link.
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