Giorgia Crimi

Avvocato, opera nel settore musica e media, collabora con lo Studio legale d'Ammassa & Partners. Legal coach per artisti, cantante jazz, compositrice e autrice musicale.

Presentata all’aeroporto di Malpensa la Milano Music Week 2019

Si svolgerà dal 18 al 24 Novembre la nuova edizione della Milano Music Week, una settimana di musica ed eventi culturali che consacra, per il terzo anno di seguito, la città di Milano come hub musicale di respiro sempre più internazionale.

Il programma della manifestazione, promossa da Comune di Milano, SIAE (Società italiana degli autori ed editori), FIMI (Federazione dell’industria musicale italiana), Assomusica (Associazione tra i produttori e gli organizzazioni di spettacoli di musica dal vivo) e Nuovo Imaie (Istituto per la tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori) è stato presentato il 21 giugno all’aeroporto di Malpensa, location che meglio esprime i concetti di internazionalizzazione e scambio tra culture che saranno i temi della prossima edizione.

Interessante è poi la call che viene rivolta a tutti coloro che abbiano voglia di promuovere un progetto interessante, i quali possono inviarlo alla mail proposte@milanomusicweek.it.


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Il futuro dell’industria musicale è nell’intelligenza artificiale?

Il Sole24ore ha intervistato Francis Moore, Executive Chief di IFPI, l’organizzazione che ogni anno pubblica il report sui dati del music business a livello globale.

L’intervista ha affrontato temi come il difficile passaggio dall’analogico al digitale e il successo dei discografici che sono riusciti ad “educare” il pubblico allo streaming “legale” di musica, uscendo dalla crisi.

Uno dei punti più significativi della discussione ha riguardato la Direttiva Copyright, su cui la Moore ha espresso un parere estremamente positivo, considerandola il primo atto legislativo a livello mondiale che, se fedelmente applicato, sarà in grado di colmare il value gap nello sfruttamento di contenuti creativi tra i service provider e gli aventi diritto.

Molto interessante anche il ruolo sempre più determinante di intelligenza artificiale e big data.
Le case discografiche in particolare usano i dati per misurare le tendenze e il coinvolgimento dei fan, su cui elaborano le proprie strategie anche in tema di lancio degli artisti.

Se quindi il futuro è sempre più dell’Intelligenza Artificiale, si spera che almeno questi “robot” siano intonati!

Ma il talento umano è davvero sostituibile? Ai posteri l’ardua sentenza.

Per leggere l’intervista completa clicca qui.
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Convocata l’Assemblea Generale SIAE 2019

È convocata per il 18 luglio 2019, a partire dalle ore 11:00, l’Assemblea Generale della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), che avrà ad oggetto importanti deliberazioni relative allo Statuto vigente.

L’Assemblea avrà il seguente ordine del giorno:
a) esame della relazione del Consiglio di sorveglianza di cui all’art. 12, comma 1, punto (i) dello Statuto vigente;
b) esame della relazione del Consiglio di gestione di cui all’art. 12, comma 1, punto (ii) dello Statuto vigente; c) deliberazioni relative alle linee guida di cui all’art. 12, comma 6, dello Statuto vigente; d) varie ed eventuali.

I lavori si svolgeranno in unica convocazione, a Roma presso il Palazzo dei Congressi in Viale della Pittura n. 50.

Per ogni ulteriore informazione si può visitare il sito SIAE.

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Anche FIMI aderisce al Codice di buone pratiche contro la manipolazione dello streaming

Un’ampia coalizione di major, etichette indipendenti, editori e management di artisti, tra cui Spotify, Universal, Warner, Sony, etc. oltre naturalmente a IFPI che rappresenta l’industria discografica in più di 56 paesi nel mondo, hanno sottoscritto il Anti-streem manipulation Code of best practice, un codice di buone pratiche che intende stabilire le misure per rilevare e prevenire la manipolazione dello streaming e mitigarne gli effetti negativi sul mercato, che ogni anno segnano copiose perdite nel settore.

Tale Codice di buone pratiche traccia le linee guida per fermare le riproduzioni non autentiche sui servizi di streaming strutturati per produrre un migliore posizionamento delle chart, un’equa suddivisione del mercato e dei pagamenti delle royalties.

Fonte: FIMI

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Manifesto Nazionale degli Stati Generali della Musica Emergente: più spazio alle realtà musicali piccole e alle produzioni indipendenti

Sabato 22 giugno nel corso dell’evento organizzato da Giordano Sangiorgi (MEI – Meeting delle Etichette Indipendenti), è stato presentato il Manifesto Nazionale degli Stati Generali della Musica Emergente, un documento elaborato nel confronto con oltre 100 tra operatori e artisti della musica emergente italiana.

Obiettivo principale è la valorizzazione delle realtà musicali indipendenti e la promozione di un rinnovamento normativo, a tutela della creatività.

Tra gli strumenti indicati dal Manifesto in parola, si legge all’art 4 “Istituzione di una legge che imponga alle radio private operanti sul territorio nazionale la trasmissione di una quota di musica prodotta in Italia (ma non necessariamente in lingua italiana) in palinsesto, che oscilli – secondo i casi e le applicazioni – dal 35 al 60% del totale delle canzoni in programmazione, al fine di promuovere la musica indipendente gli artisti esordienti.”

Leggi il documento.

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Gli Studios fanno causa a VidAngel: no allo “stream ripping” family friendly

Si è appena aperto il processo davanti al Tribunale  dello Stato della California, che dopo la condanna sull’an, deciderà sul quantum dovuto da VidAngel agli Studios per violazione del copyright.

Disney, Fox, Lucasfilm e Warner Bros hanno infatti già segnato una prima importante vittoria contro la start-up VidAngel la quale ha realizzato lo stream-ripping illegale di svariate pellicole dei produttori in parola.

VidAngel che opera dal 2016 consente agli utenti di filtrare i contenuti non graditi, perché violenti o offensivi, selezionando per argomento, dai film di Hollywood, orientata a tutelare soprattutto le famiglie.

Tuttavia, il servizio offerto si basa su un’attività di ripping, ovvero la estrazione e trasferimento di un contenuto protetto ad un altro formato, nella specie, per la messa a disposizione del pubblico, realizzata da VidAngel ultimamente tramite AmazonPrime e Netflix.

Pertanto, la startup avrebbe dovuto certamente richiedere la previa autorizzazione dei titolari dei diritti.

A oggi è stato richiesto un risarcimento milionario che tuttavia la società non sarà in grado di corrispondere, considerando che ha già dichiarato fallimento.

Per gli Studios tuttavia si tratta di un atto esemplare, non solo repressivo, ma dimostrativo per tutti gli altri operatori che con servizi simili violano i loro diritti.

Per saperne di più: link.

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Chiude Convert2MP3, ma già proliferano i cloni

Ebbene si, Convert2MP3, sito per il ripping su youtube, è stato chiuso in Germania per violazione del copyright.

Il “ripping” nel gergo informatico è l’attività di estrazione e trasferimento di un contenuto, solitamente audio e/o video, da un supporto ad un altro, ai fini della distribuzione su reti peer-to-peer o comunque per la diffusione illegale (fonte: wikipedia).

Il software in parola fa parte di quelli che consente, ad esempio, di scaricare senza nulla pagare le tracce audio dei video presenti su youtube per poi caricarle in formato digitale (es. MP3, WAV, WMA) sui lettori o masterizzarle, creando le proprie compilation.

Un’attività che peraltro ha sempre meno motivo di essere, considerando che moltissimi siti consentono già di ascoltare musica gratis o comunque a basso costo, utilizzando come controvalore le sponsorizzazioni (es. spotify).

La community di tutti coloro che sono abituati a scaricare la musica e i video gratis è in subbuglio, ma non troppo..

Infatti i siti di questo tipo proliferano e grazie al passaparola gli abitué di questa pratica hanno già svariate alternative.

Purtroppo infatti è ancora molto diffusa la convinzione (e non solo tra i giovanissimi) che tutto ciò che sia tecnologicamente possibile sia anche giuridicamente lecito, ignorando che invece si tratti di pirateria, sanzionata anche in sede penale.

Ci si auspica quindi, per un verso, che gli operatori professionali del web possano “anticipare” i possibili comportamenti illeciti degli utenti, stipulando licenze con gli aventi diritto, in linea anche con la nuova direttiva copyright ed, in genere, che si diffonda una maggiore attenzione alla legalità, nel rispetto della necessaria remunerazione del diritto degli autori e degli interpreti, senza la quale la creatività non ha scampo.

Maggiori informazioni. 

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Google accusata di “rubare” i testi delle canzoni

La società Genius Media Group, specializzata nell’offerta di testi musicali di genere hip hop, ha mosso un’accusa precisa a Google, quella di riutilizzare i propri materiali, indicizzandole con l’effetto di sottrarre traffico a chi fonda il proprio business su questo.

Effettivamente, a differenza del passato, in cui a fronte di una ricerca, i risultati rimandavano a siti specializzati, oggi Google mostra direttamente il testo del brano cercato, rendendo inutile cliccare sui siti.

Per questo è stata accusata anche di violare le leggi antitrust.

Google si difende sostenendo di essere titolare di legittime licenze in virtù di accordi con dei partner.

Al di là della questione, nella prassi, forse non tutti sanno che anche il testo di un brano, scisso dalla melodia e a prescindere dalla sua esecuzione da parte dell’artista, è tutelato dal diritto d’autore e non è quindi liberamente riproducibile senza l’espressa autorizzazione dell’autore e dell’editore, quando presente.

Seguiremo gli sviluppi della questione.

Per saperne di più: http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2019/06/17/societa-accusa-google-copia-le-canzoni_29ebdd02-a375-4743-8817-e5f1055f3f59.html

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Copyright digitale: sulle due sponde dell’Atlantico, il resoconto del convegno

Il 17 giugno scorso si è tenuto un interessante convegno organizzato dallo Studio Legale De Berti Jacchia, con la partecipazione di FIMI, sul tema della Direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE.

La Direttiva è stata pubblicata da poco nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, ma, come è noto, l’iter di approvazione non è stato affatto facile, considerando soprattutto l’ostilità dei giganti del web.

Lo stesso Dott. Marco Giorello, Capo Unità direzione generale “Connect” presso la Commissione Europea, ha riferito che il testo è stato il frutto di un difficile compromesso che ha visto scontrarsi chi sosteneva si trattasse di un adeguamento dovuto della normativa alle nuove frontiere del web e chi invece ha qualificato questo come un indebito atto di censura della libertà di espressione.

L’obiettivo del legislatore comunitario, come chiarito opportunamente dal Dott. Giorello, è quello non tanto di regolamentare le responsabilità degli hosting provider tout court, quanto quello di stimolare la sottoscrizione di licenze con gli aventi diritto, affinché si ottenga una più equa distribuzione delle risorse economiche che si producono grazie all’indispensabile utilizzo nei servizi web di contenuti creativi.

Molto interessante la prospettiva dell’Avv. Mireille Buydens, avvocato e docente di diritto della Proprietà Intellettuale all’Universitè Libre de Bruxelles, che si è incentrata sull’analisi dell’art 17 e sulla valutazione degli scenari possibili.

L’art. 17 della Direttiva Copyright in particolare vincola gli stati membri a prevedere che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online ottengano una previa autorizzazione da parte degli aventi diritto, magari con la stipula di accordi di licenza, inclusiva, a certe condizioni, degli atti compiuti dagli utenti.

La norma soprattutto introduce un principio di responsabilità del provider, stabilendo espressamente che la limitazione di responsabilità di cui all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31/CE non si applichi alle fattispecie contemplate dall’articolo in parola.

La prospettiva infatti si inverte e si ritiene responsabile il prestatore di servizi online nel caso della condivisione di un materiale protetto senza consenso degli aventi diritto, salvo che non dimostri: a)  di aver compiuto i “massimi sforzi” per ottenere la relativa autorizzazione, b)  di aver applicato “elevati standard di diligenza professionale di settore” e in ogni caso, c) di  aver “agito tempestivamente”, dopo aver ricevuto una “segnalazione sufficientemente motivata” dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere i contenuti illeciti.

In questo senso, come ha sottolineato correttamente la Prof.ssa Buydens, seppure la Direttiva non preveda alcun obbligo generale di sorveglianza in capo ai prestatori di servizi di condivisione di contenuti online, nella pratica è quello che saranno costretti a fare, sviluppando, adottando o implementando sistemi di intelligenza artificiale (AI) per il controllo e il riconoscimento dei contenuti caricati e/o condivisi dagli utenti.

La stessa ha evidenziato soprattutto il rischio connesso a questi sistemi che ha definito “black box”, in cui non è dato sapere come e per quali usi i dati raccolti possano essere utilizzati.

Poi ha rilevato che lo sviluppo di sistemi sofisticati di riconoscimento ed elaborazione dei contenuti ha dei costi ingenti e che questo porterà, nei fatti, ad escludere i prestatori di servizi on line che non abbiano sufficienti mezzi economici, con un evidente rischio di concentrazione del potere di mercato sempre di più nelle mani dei giganti del web.

Quando ovviamente il timore di incorrere nelle responsabilità risarcitorie non si evolva in una forma di censura preliminare, la rimozione preliminare e “ad occhi chiusi” dei contenuti ritenuti a rischio o sospetti.

L’Avv. Alessandra Tarissi De Jacobis, Partner a Los Angeles di De Berti Jacchia, con una presentazione molto coinvolgente grazie anche alla proiezione di video rock ed hip hop molto apprezzati da un pubblico amante della musica, ha rimarcato il rischio di censura preliminare dei contenuti condivisi dagli utenti da parte dei sistemi di intelligenza artificiale, in quanto priva di senso dell’umorismo, emozione del tutto umana, non riproducibile.

Pertanto, ciò porterebbe alla selezione ed espulsione dei contenuti parodistici, quelli che nel diritto statunitense sono vieppiù legittima espressione del fair use, e quindi creativi ed originali anche quando utilizzino materiali protetti altrui senza autorizzazione, nel rispetto di certe condizioni, contenuti che per contro, secondo gli standard del diritto italiano, sarebbero considerate propriamente opere derivate, illecite in assenza del consenso dell’autore.

Interessantissimi gli interventi anche del panel di ospiti provenienti dal mondo dell’industria: Alfredo Clarizia, Legal & Business Affairs Director di Sony Music Italy, Luca Vespignani, Managing Director, DcP di Digital Content Protection, Marco Berardi, Vice President, General Manager di Turner.

In particolare, il Ceo di FIMI, Enzo Mazza, ha sottolineato come il riconoscimento operato a livello europeo della necessità di proteggere i contenuti creativi sia espressione di democrazia, perché la tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi è primaria declinazione del principio di libertà di espressione.

Lo stesso ha rilevato come soprattutto negli ultimi anni si sia registrato in Italia un incremento dei servizi di streaming “legale”, che ha consentito di dare ossigeno ad un settore quale quello musicale da tempo in crisi.

Personalmente ritengo che al di là del mezzo legislativo, il cui altissimo pregio è stato quello di interessare il pubblico tutto allo scontro consumato per l’approvazione della direttiva copyright e quindi indirettamente al diritto d’autore, imperversi ancora eccessiva disinformazione sui questi temi, anche tra gli operatori del settore.

Certamente è apprezzabile che la Direttiva, al di là di come sarà poi recepita dai singoli stati, ponga un freno alla cannibalizzazione che da anni subiscono i creativi i cui materiali, solo perché presenti sul web, sono in genere ritenuti liberamente appropriabili.

Seppure di fatto riservato agli addetti ai lavori, già quindi ad un uditorio selezionato, attento e sensibile alle novità normative ed alla proprietà intellettuale, il convengo di ieri è un’iniziativa molto meritoria, soprattutto per chi è impegnato da anni nella divulgazione della cultura del diritto d’autore.

Ci si augura quindi che possano esserci nuove occasioni, anche non solo rivolte al pubblico di noi addetti ai lavori, perché tutti gli utenti dei servizi artistico-culturali siano compiutamente edotti del fatto che senza regole la creatività muore.

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Risarcimento all’autore di “Pepe the Frog” per violazione di copyright

Matt Furie, autore del fumetto di “Pepe the Frog”, ha recentemente stipulato una transazione con il sito Infowars e il suo creatore, Alex Jones, che lo ha portato ad ottenere un risarcimento di circa 15.000,00 dollari per lo sfruttamento non autorizzato del suo personaggio.

Il personaggio di Pepe the Frog infatti non solo era stato associato a messaggi intolleranti e razzisti, lontani dalla filosofia pacifista del fumetto e del suo autore, nell’ambito di memi che hanno proliferato sul web, ma era anche stato oggetto di sfruttamento a fini commerciali, considerando la vasta operazione di merchandising (poster, magliette, etc.) realizzata da Alex Jones.

Il meme è un contenuto divertente o bizzarro, che può essere un’immagine, un video, una foto o anche una frase, che in poco tempo si diffonde in maniera virale, diventando un vero e proprio tormentone.

Non è la prima volta che l’autore di Pepe the Frog si trova a dover difendere i diritti sul personaggio, contro utilizzi illeciti, vieppiù a fronte dell’associazione a temi d’odio.

Frog è stato utilizzato anche come mascot non ufficiale dai sostenitori di Trump nel corso della sua campagna elettorale.

L’autore che peraltro recentemente ha deciso di far morire il proprio personaggio, ha altresì dichiarato di non essere interessato al denaro, quanto a rafforzare la tutela del fumetto avverso all’errata e distorsiva utilizzazione nell’ambito di messaggio di odio e intolleranza.

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