Ha avuto grande eco la notizia, pubblicata prima su carta e poi sul Web, secondo la quale le attività legate alla “clonazione” delle smart card (in questo caso, dette anche pic-card) per la visione, abusiva, di trasmissioni televisive cripate non costituirebbero più reato, bensì mero illecito amministrativo.
In effetti, nel marzo scorso la Procura di Crotone ha depositato una richiesta di archiviazione (poi accolta dal GIP competente) nella quale è sviluppata una complessa tesi giuridica volta, appunto, a sostenere l’intervenuta depenalizzazione dell’art. 171-octies l.d.a. e la non applicabilità di altre fattispecie penali [1].
Si tratta, per la verità, di un orientamento non recente [2], ma l’atto crotonese ha sicuramente il pregio di aver analizzato il tema in modo approfondito, andando ben al di là di una semplice presa d’atto della depenalizzazione.
Con il d.lgs. 15 novembre 2000, n. 373, l’Italia ha dato attuazione alla direttiva 98/84/CE in tema di servizi ad accesso condizionato.
I servizi di trasmissioni televisive “criptate” rientrano sicuramente nelle definizioni di cui all’art. 1 e nell’àmbito di applicazione circoscritto dall’art. 2. Quanto alle attività vietate, esse sono elencate all’art. 4: “a) la fabbricazione, l’importazione, la distribuzione, la vendita, il noleggio ovvero il possesso a fini commerciali di dispositivi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera g); b) l’installazione, la manutenzione o la sostituzione a fini commerciali di dispositivi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera g); c) la diffusione con ogni mezzo di comunicazioni commerciali per promuovere la distribuzione e l’uso di dispositivi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera g)”.
Delle sanzioni, invece, si occupa l’art. 6 ove è evidente la natura amministrativa, e non penale, delle stesse. Ne consegue la menzionata depenalizzazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p.
Detto decreto non è stato, però, il primo intervento in materia. Già nel 1993, infatti, la l. 27 ottobre 1993, 422 (di conversione del decreto legge 27 agosto 1993, n. 323) aveva esteso la disciplina penale riservata al software (art. 171-bis l.d.a.) [3] al campo delle trasmissioni televisive criptate. Si era, pertanto, inequivocabilmente scelta la via del diritto d’autore, circostanza che avrebbe dovuto far concludere per la specialità di tale norma rispetto ad altre, che si vedranno, “generali”, peraltro non sempre pertinenti.
Soltanto con la l. 248/2000 si è, infine, optato per disposizioni specifiche come gli artt. 171-ter lett. f) e 171-octies l.d.a. [4], con la precisazione che, relativamente al traffico dei dispositivi de quibus è lecito concludere per la sola rilevanza della seconda.
L’art. 171-octies l.d.a. punisce infatti chi “produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale”.
A distanza di pochi mesi dalla promulgazione della riforma del diritto d’autore, è giunto, infine, il già citato decreto legislativo che, come detto, ha ridotto talune condotte sino a quel momento sanzionate penalmente, a mero illecito amministrativo (peraltro, con la previsione di sanzioni di una certe entità).
Per la verità, la suddetta depenalizzazione non è esente da problematiche. La sovrapposizione dei due testi (art. 171-octies l.d.a. e art. 4 d.lgs. 373/2000) rende, infatti, evidente che la disciplina più recente ha considerato soltanto le condotte volte (direttamente o indirettamente) alla commercializzazione dei dispositivi di sprotezione, senza alcun accenno alle ipotesi che rientrano nel novero dell’uso personale e che, pertanto, potrebbero costituire ancora oggi reato [5].
In effetti (e a differenza, ad esempio, di quanto espressamente fatto salvo dall’art. 171-ter l.d.a.), l’art. 171-octies l.d.a. sanziona anche chi, a meri fini fraudolenti, utilizza per uso pubblico o privato gli apparati in argomento.
Al di là di ovvie ragioni di equità (non sempre sostenibili, sulla base di un dato positivo sufficientemente chiaro) non va, però, dimenticato il dettato dell’art. 16 l. 248/00, illecito amministrativo senza dubbio più lieve riferibile all’utilizzo abusivo, anche via etere, di un’opera dell’ingegno tutelata dalla normativa sul diritto d’autore [6].
Sin qui si è riferito del percorso legislativo specifico. Non va, tuttavia, taciuto che la giurisprudenza formatasi sui testi previgenti non si era limitata all’analisi della disciplina tipica del diritto d’autore, ma era andata oltre ipotizzando l’applicabilità anche di altre fattispecie [7].
La richiesta crotonese, come detto, non ha omesso di considerare anche tali precedenti valutando anche reati come quelli previsti dagli artt. 615-quater, 617-quater e 617-quinquies c.p. [8].
Rinviando alla lettura della richiesta di archiviazione, va detto soltanto che, in effetti, tali norme, introdotte dalla l. 547/93 in tema di criminalità informatica, non paiono poter trovare applicazione o per l’impossibilità di riconoscere, in sistema di trasmissione televisiva criptata, un sistema informatico o telematico, o per la natura non “segreta” di tali trasmissioni [9]. Ferma restando, comunque, l’evidente specialità delle recenti disposizioni amministrative riguardo a quelle del codice penale [10].
Di certo, non si può fare a meno di osservare quanto la depenalizzazione operata dal d.lgs. 373/2000 sia stata, forse, frutto di una svista, di un mancato coordinamento con le (appena) previgenti norme penali in materia. A conferma di ciò (e, prima ancora, della depenalizzazione quanto meno “di fatto”) sembra opportuno segnalare che in Parlamento è già da tempo in discussione un disegno di legge volto a reintrodurre, modificando proprio il d.lgs. 373/2000, le sanzioni penali di cui agli art. 171-bis e 171-octies l.d.a. [11].
L’approvando disegno di legge impone, però, ulteriori riflessioni. L’avverbio “altresì” [12] farà rivivere la sanzioni penali, ma le aggiungerà a quelle amministrative previste dal d.lgs. 373/2000 sul solco di quella politica (legittima, ma criticabile) di doppio binario amministrativo-penale già vista con la l. 248/00 [13]. Seri imbarazzi applicativi potrà, invece, far sorgere il richiamo assolutamente alle “misure accessorie” collegate agli artt. 171-bis e 171-octies l.d.a. [14].
In generale, infine, è lecito domandarsi quale sia la pertinenza, in tema di trasmissioni televisive codificate, del richiamo effettuato anche dell’art. 171-bis. l.d.a. atteso che quest’ultima disposizione è, in assenza di doverose precisazioni, riferibile esclusivamente agli illeciti relativi ai programmi per elaboratore.
La Relazione al ddl esordisce affermando che “la legge 18 agosto 2000, n. 248, ha introdotto, a tutela del diritto d’autore, la previsione di sanzioni penali per la realizzazione, duplicazione, importazione, detenzione, vendita e installazione di apparecchi o supporti elettronici in grado di consentire l’accesso ad un servizio o programma protetto, anche di elaboratore elettronico, senza l’autorizzazione del fornitore o del titolare del servizio”. Su tale presupposto, bisognerebbe osservare che le condotte di “sprotezione” dei programmi per elaboratore erano già previste dall’originaria formulazione dell’art. 171-bis senza che, dal 1992 alla riforma del 2000, siano, sul punto, intervenute significative modifiche.
Sicché, l’assunto secondo cui “l’emanazione del decreto legislativo 15 novembre 2000, n. 373, volto a dare attuazione alla direttiva 98/84/CE sulla scorta della delega al Governo contenuta nella legge 21 dicembre 1999, n. 526, ha comportato un’abrogazione di fatto delle sanzioni penali contenute negli articoli 171-bis e 171-octies della citata legge n. 633 del 1941, come modificati dalla legge n. 248 del 2000” potrebbe apparire non corretto in relazione all’art. 171-bis.
Ma le sanzioni alle condotte di “sprotezione” dei programmi non sembrano (e, come visto, non possono), in realtà, essere il vero obiettivo del ddl. La nozione di “dispositivi illeciti” di cui all’art. 1, lett.g), d.lgs. 373/2000 comprende ogni “apparecchiatura o programma per elaboratori elettronici concepiti o adattati al fine di rendere possibile l’accesso ad un servizio protetto in forma intelligibile senza l’autorizzazione del fornitore del servizio” laddove, invece, l’art. 171-octies l.d.a. si riferisce ai meri apparati (o parti di essi). Quid iuris, dunque, per il software?
Precisando che la recente depenalizzazione riguarda sicuramente anche i programmi utilizzati per le smart card (in base alla definizione di cui sopra e al conseguente àmbito applicativo), il silenzio della Relazione [15] consente soltanto di ipotizzare che l’intenzione del proponente sia quella di rendere operativo il richiamo all’art. 171-bis l.d.a. in modo del tutto analogo a quanto fatto con il d.l. 27 agosto 1993, n. 323 (come da conversione), evidentemente ritenuto non abrogato, sul punto, dalla l. 248/2000.
Come avvertito, si tratta, però, di una mera ipotesi formulata sulla scorta di materiale stringato e contraddittorio. C’è, comunque, da augurarsi che il testo del ddl sia rivisto eventualmente con la previsione di una disciplina univoca e unitaria che eviti all’interprete prevedibili difficoltà interpretative – foriere di possibili iniquità – di cui la materia informatica patisce quasi “tradizionalmente”.
avv. Daniele Minotti – Genova
http://www.studiominotti.it
Note
[1] La richiesta è pubblicata su Penale.it all’indirizzo
http://www.penale.it/document/arch_smart_kr.htm.
[2] Per il merito, si segnala Trib. Torino, Sez. V Pen., in composizione monocratica, 17 febbraio – 30 marzo 2001 su Penale.it alla pagina http://www.penale.it/giuris/meri_099.htm.
Per la giurisprudenza di legittimità, Cass., Sez. III Pen., 9 – 28 novembre 2001, 42561 sempre su Penale.it, URL http://www.penale.it/giuris/cass_017.htm. In dottrina, tra le primissime voci, cfr. C. Parodi, A. Calice, Responsabilità penali e Internet, Milano, Il Sole 24 Ore, 2000, pagg. 276 e ss.
[3] Con implicito riferimento alla seconda parte relativa ai sistemi di sprotezione per i programmi per elaboratore.
[4] Sempre il primo comma dell’art. 171-octies l.d.a. specifica che “si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio”.
[5] Sottolinea tale iniquità G. Pomante, Trasmissioni televisive ad accesso condizionato: pirateria, evoluzione normativa ed applicabilità, in G. Cassano (a cura di), Diritto delle nuove tecnologie e dell’Internet, Milano, Ipsoa, 2002, pagg. 87-8.
[6] Sembrano optare per tale conclusione C. Parodi, A. Calice, Responsabilità penali e Internet, Milano, Il Sole 24 Ore, 2000, pag. 278.
[7] Per tutte, Cass., Sez. V Penale, 2 luglio – 21 ottobre 1998, n. 4389, su carta, in Cassazione penale, 2000, 30 con nota critica di S. Aterno, “Aspetti problematici dell’art. 615-quater c.p.”. Su Web, in www.andreamonti.net, URL http://www.andreamonti.net/jus/cass984389.htm. Per una panoramica sull’argomento, sia consentito menzionare D. Minotti, Sistema informatico o telematico: casi e questioni di diritto penale, in A. Sirotti Gaudenzi (a cura di), Trattato breve di diritto della Rete. Le regole di Internet, Rimini, Maggioli, 2001, pagg. 294 e ss.
[8] Per una precedente analisi, ci si permette di segnalare D. Minotti, Servizi ad accesso condizionato, Unione Europea e depenalizzazione: un revirement di politica criminale?, in Penale.it, URL
http://www.penale.it/giuris/meri_099.htm#Nota.
[9] Di diverso avviso, circa la rilevanza dell’elemento “segretezza”, sono A. Calice, C. Parodi, Un mistero italiano: la normativa sulla tutela delle trasmissioni televisive, in “Diritto penale e processo, 2002, n. 5, pagg. 641-2. Il suddetto requisito risulta, però, non dall’art. 617-quater c.p., ma dal titolo della Sezione che lo contiene. Ugualmente indicativa di tale impostazione è la Relazione Ministeriale al ddl C2773 (XI Legislatura) reperibile, su Penale.it, all’indirizzo
http://www.penale.it/legislaz/rel_ddl_2773_XI_leg.htm.
[10] Concludono in questo senso A. Calice, C. Parodi, Un mistero italiano: la normativa sulla tutela delle trasmissioni televisive, in “Diritto penale e processo, 2002, n. 5, pag. 642.
[11] Si tratta del ddl S606 il cui testo è reperibile sul sito del Senato all’indirizzo
http://www.senato.it/leg/14/Bgt/Schede/Ddliter/15426.htm.
Attualmente, dopo l’approvazione in Commissione al Senato, il disegno di legge è già all’attenzione della Camera con il numero C2442.
[12] Si noti che tale avverbio compare non nel testo presentato, bensì in quello approvato in Commissione il 20 febbraio 2002.
[13] Fatto ritenuto “da valutare” anche in sede parlamentare. Cfr. la relazione dell’On. Zanettin alla seduta 19 giugno 2002, Camera, I Commissione Affari Costituzionali, Comitato permanente per i pareri, sul sito del Senato (clicca qui) sul punto divenuta osservazione nella medesima seduta (clicca qui).
[14] Non è, infatti, pacifico che la locuzione “misure accessorie” si riferisca, ad esempio, a quanto previsto dagli artt. 171-sexies, 174-bis e 174-ter l.d.a., senza contare che una tale estensione darebbe origine ad una disciplina finale ipertrofica, ridondante e incongrua.
[15] L’unico timido spunto appare nella Relazione dell’On. Ventura fatta alla II Commissione Giustizia della Camera (in sede referente) il giorno 10 aprile 2002. Il testo è disponibile sul server della Camera (clicca qui).