La regolamentazione dello spazio. Alcune considerazioni in tema di “proprietà intelletuale”
1. Lo spazio è un legislatore tirannico
Parlare di diritto ed architettura può rappresentare per i giuristi una tentazione irresistibile. Alcuni di costoro, colti dall’entusiasmo, si lancerebbero in spericolate metafore sulle sorprendenti analogie, quanto meno supposte, tra scienza giuridica ed ingegneria (sociale), particolarmente se si considera quella corrente del pensiero giuridico che va sotto il nome di analisi economica del diritto. Se squadra e cazzuola sono i nuovi arnesi di lavoro di costoro, occorre invece dar conto di un modo affatto differente e sorprendentemente piú serio e profondo di intendere il rapporto tra diritto ed architettura, alla luce di alcune acute riflessioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato la cultura americana: mi riferisco a giuristi quali Lessig o la Cohen, Lemley e Reidemberg, o Boyle e Katsh.
Che lo spazio possa incorporare valori giuridici è un’esperienza che possiamo vivere quotidianamente: si pensi ai dossi artificiali, chiamati anche rallentatori, i quali incorporano nella pavimentazione stradale la norma che vieta il superamento dei limiti di velocità.
Il diritto talvolta opera direttamente sulla configurazione dello spazio per promuovere valori che gli sono propri. Cosí la legislazione sulle barriere architettoniche è volta a dar attuazione al principio di non esclusione del portatore di disabilità fisiche, e ciò, potremmo ritenere, in virtú di principi che non faticheremmo a rinvenire nella nostra Costituzione.
Ci si può però domandare se la regolamentazione tramite architettura, tramite ciò una riconfigurazione dello spazio fisico, sia di natura sostanzialmente giuridica. Una certa filosofia del diritto distingue tra norma e regola, constatando la doverosità della prima contro la necessità della seconda. La violazione della norma, per farla breve, implica una sanzione – od effetto giuridico – il cui conseguire non è regolato da una necessità fisica, ma solo dal dovere di ripristinare un ordine giuridco violato. La regola, invece, impone la sua sanzione per via dell’inesorabile procede della legge naturale: se non apro l’ombrello sotto la pioggia (regola) mi bagnerò (sanzione). Come già visto nell’esempio dei dossi artificiali, l’architettura muta in regola ciò che dovrebbe essere propriamente norma. Non impropriamente Lessig parla quindi di tirannia in questa forma di regolamentazione. Le norme giuridiche devono essere violabili, anche perché, talvolta, la loro violazione assume un significato istituzionale disciplinato dall’ordinamento. Il meccanismo d’accesso alla Corte Costituzionale è configurato in maniera tale da porre in capo ai consociati un “diritto di resistenza”: violare una norma ritenuta incostituzionale è l’unico modo che il privato cittadino ha per adire la Corte con il risultato, nel caso in cui le sue argomentazioni appaiano convincenti, che ciò che precedentemente era antigiuridico diviene ora norma giuridica. In un tale meccanismo istituzionale, per cui nessuna norma può dirsi eterna, siamo spesso abituati a vedere un progresso della nostra civiltà giuridica. La regolamentazione tramite architettura, invece, rimuove questa possibilità.[1]
2. La morte del diritto d’autore
Ma cosí come uno spazio può essere riconfigurato per incorporare valori giuridici, i mutamenti della configurazione possono disarticolare valori giuridici. Si pensi al diritto d’autore ed alle tecnologie della duplicazione. Se aveva poco senso un costoso apparato di diritti, privative, obblighi e sanzioni allor quando la duplicazione di un opera letteraria costava giorni e giorni di lavoro manuale, la nuova configurazione del supporto materiale che l’introduzione della codifica digitale del contenuto comporta, codifica che ne consente la perfetta riproducibilità a costi e tempi irrisori, incide sulla capacità dell’ordinamento di dar effettiva protezione ai diritti dell’autore.
Ma come spesso accade lo sviluppo tecnologico non è unidirezionale: i sistemi di Digital Rights Managment operano nella direzione esattamente opposta.
“Una legge per incoraggiare l’apprendimento”[2], cosí il primo documento legislativo in tema di diritto d’autore, lo Statute of Anne del 1710, descrive se stesso. Ed analoghe sono le statuizione della prima Costituzione ad occuparsi del tema: “Il Congresso avrà il potere di promuovere il Progresso delle Scienze e delle Arti, assicurando agli Autori ed Inventori un diritto esclusivo sui loro Scritti e sulle loro Scopere per un limitato periodo di tempo”.[3]
Si suole spesso parlare di proprietà intelletuale e mai un termine fu usato maggiormente a sproposito, almeno nel contesto di un discorso non rigorosamente tecnico. Infatti il giurista, pensando alla proprietà, è spesso portato a rappresentarsi tutta la serie dei limiti del terribile diritto, il principe tra i diritti reale – si pensi alla disciplina delle immissioni (l’art. 844 c.c. afferma ciò che il proprietario non può impedire: immissioni che non superino la normale tollerabilità), od alla funzione sociale ribadita dalla Costituzione.
Ma nel linguaggio comune essa denota invece l’assolutezza della signoria del volere dell’individuo su una porzione limitata del mondo fisico, tradendo con ciò il carattere retorico delle declamazioni borghesi sul tema. Ed in quest’ottica può propriamente parlarsi di una proprietà intelletuale? Certo che no. Il diritto d’autore è limitato nel tempo, nello spazio e nel contenuto: termine di decadenza, diritto di prima vendita, libere utilizzazioni sanciscono un confine certo, oltrepassando il quale usciamo dall’ambito del diritto d’autore per approdare ad altro. Ma tali limiti e confini attengono alla natura stessa del diritto, il cui fine preminente risiede nell’incentivare la creazione e dissemnazione della conoscenza.
Se si consente all’autore, o per meglio dire al detentore dei diritti, di escludere a suo arbitrio dalla fruizione dell’opera, indipendentemente dall’attribuzione di una facoltà giuridica, non stiamo piú parlando di diritto d’autore e forse nemmeno di proprietà. Ma è proprio questo che le misure tecnologiche poste a protezione della “proprietà intelletuale” mirano a perseguire. E lo fanno tramite una riconfigurazione dello spazio che esprime l’opera.
Sarebbe pensabile un contratto di vendita di un libro contenente clausole sulla possibilità del lettore di rileggere l’opera dopo una prima volta? O di declamarla ad alta voce? O di citarla? O di rivendere il libro a terzi? O di cederlo in comodato? Se cosí fosse vi è da dubitare che simili clausole sarebbero tenute in gran considerazione dall’acquirente, fermo nella sua certezza che nessun giudice le riterrebbe vincolanti. Ma se parliamo di un file le cose si pongono in maniera assai differente. Ed ha invero assai poca rilevanza che un esperto possa circonvenire simili protezioni, se la grandissima parte degli utenti ne rimane impossibilitata.
Dovremmo quindi avanzare qualche domanda sulla nuova tendenza in atto volta a dare protezione all’architettura prima ancora di investigare quali valori essa incorpori. Mi riferisco ovviamente al Digital Millenium Copyright Act o alla Direttiva europea 29/2001, per tralasciare i piú recenti disegni legislativi che, specialmente negli USA, prolificano in tema di protezione tecnologica dei “diritti di proprietà intelletuale”. Abbiamo già visto come una tale forma di regolamentazione sia fondamentalmente tirannica, un quanto disarticola un valore profondo della nostra tradizione giuridica. Assistiamo però ad una sua esaltazione ad opera di molti giuristi, i quali vedono nelle misure tecnologiche la forma preferibile di regolamentazione, ed alla sua “privatizzazione”, vale a dire che consentiamo a questa forma di legislazione di fare il suo ingresso nella regolamentazione dei rapporti tra privati. Con quali conseguenze?
3. La morte del contratto
Un esempio che mi pare assai illuminante ci è proposto da Julie Cohen.[4] Ella immagina un contratto di vendita di un divano che sia dotato di un dispositivo il quale lo faccia ritornare nel possesso del venditore qualora non tutte le clausole del contratto siano soddisfatte da parte dell’acquirente. Pertanto, nel caso il contratto stabilisse che non piú di due persone alla volta possano sedervisi, nel momento in cui un terzo vi si provi il divano sparirebbe per rimaterializzarsi nel negozio ove era stato acquistato.
Se normalmente starebbe al venditore agire contro l’acquiernte nel caso costui violi una qualche disposizione contrattuale ed il giudice adito, prima di dare ristoro alla vittima, si accerterebbe circa la sussistenza dei requisiti necessari affinché l’ordinamento giuridico dia tutela al vincolo contrattuale assunto, nella situazione prospettata tutto il nostro diritto dei contratti diverrebbe invece lettera morta. Si assisterebbe ad una sua completa “privatizzazione”, magari nel nome dell’autonomia negoziale. Certo è che la natura stessa del contratto ne uscirebbe stravolta, coincidendo il vincolo giuridico con ogni possibile promessa reciproca, indipendentemente da ogni indagine sulla causa, l’oggetto, ecc.
Se l’esempio proposto può apparire per certi versi assai poco verosimile, qualche cosa di analogo è in verità già attuale. Chi installi Windows Media Player, un software della Microsoft per la produzione e riproduzione di file multimediali, deve accettare la seguente clausola: “Digital Rights Management (Security). You agree that in order to protect the integrity of content and software protected by digital rights management (“Secure Content”), Microsoft may provide security related updates to the OS Components that will be automatically downloaded onto your computer. These security related updates may disable your ability to copy and/or play Secure Content and use other software on your computer. If we provide such a security update, we will use reasonable efforts to post notices on a web site explaining the update.”[5]
Questa è una clausola che attribuisce alla Microsoft un diritto di autotutela che non ha alcun fondamento giuridico. La nostra dottrina, per quanto poco si sia occupata del tema – anche se con eccezioni di prima grandezza -, non può che ritenere l’autotutela una forma di giustizia privata che nel nostro ordinamento è bandita salvo espresse eccezioni: si pensi ad esempio al diritto di ritenzione. E ciò per una serie di ragioni che qui non abbiamo lo spazio per approfondire ma che dovrebbero apparire ovvie.
Il panorama che descriviamo non è rassicurante. Non stiamo però sostenendo che l’architettura come forma di regolamentazione debba essere giudicata sempre e comunque riprovevole, solo che essa non rappresenta una modalità puramente “tecnica” di imposizione del comando giuridico. Essa ne stravolge la natura, e ne modifica la qualità, il che incide sulla natura stessa del comando. Pertanto la configurazione dello spazio, e quella dello spazio digitale in maniera particolare, essendo questa nella nostra totale disponibilità, non può essere considerata priva di rilevanza giuridica. Ed accordarle protezione senza investigare se essa si conformi ai principi ed alle norme che costituiscono il nostro attuale e vigente ordinamento rappresenta una novità inaudita nella nostra tradizione giuridica, novità la cui portata non è ancora pienamente apprezzabile.
*NOTE*
[1] Ho già affrontato questi temi in “Diritto, architettura e software libero”, settembre 2002,http://portal.lobbyliberal.it/article/articleview/134/1/29/
[2] “An act for the encouragement of learning, by vesting the copies of printed books in the authors or purchasers of such copies, during the times therein mentioned.”
[3] The Congress shall have Power … To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries” (United States Constitution, Article I, Section 8)
[4] Cfr. J. Cohen, Copyright and the Jurisprudence of Self-Help, in Berkeley Journal of Law and Technology, vol. 13, p. 1089 (1998), disponibile anche all’indirizzo: http://www.law.berkeley.edu/journals/btlj/articles/13_3/Cohen/html/reader.html
[5] “Digital Rights Management (Security). Si accetta che, al fine di proteggere l’integrità del contenuto e del software protetto da digital rights managment (“Contenuto Sicuro”), la Microsoft possa fornine aggiornamenti, correlati alla sicurezza, di componenti del sistema operativo che saranno automaticamente scaricati nel vostro computer. Questi aggiornamenti relativi alla sicurezza possono disabilitare la possibilità di copiare e/o usare “Contenuto Sicuro” e altro software sul vostro computer. Se forniremo un tale aggiornamento, faremo un ragionevole sforzo per darne notizia in un sito che fornirà spiegazioni sulla natura dell’aggiornamento”.
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