Un supporto fonografico è un prodotto particolarmente effimero, la cui vita sul mercato, per lo meno a livelli accettabili di vendita, può variare da alcuni giorni a qualche mese e, perfino, come nel caso dei Beatles, a svariate decine d’anni.
Ogni prodotto/supporto fonografico tende quindi a distaccarsi dagli altri, ad assumere una sua unicità, non solo in termini artistici com’è logico, ma anche in termini economici.
Da questi fattori discende la grande difficoltà nell’individuare dei parametri, delle percentuali o delle cifre fisse generali riferibili a tutti i prodotti. Ogni cd insomma, fa storia a sé, anche economicamente.
Questo spiega in parte le grandi contraddizioni nelle quali cadono inevitabilmente tra loro le varie torte, tabelle e tabelline che vengono di volta in volta pubblicate dai più svariati organi di informazione. Nessuna di loro è in grado di essere omnicomprensiva e anzi, non specificando molte di esse se il parametro di riferimento totale sia il prezzo al pubblico o quello al dettagliante, tendono a ingenerare confusione nel lettore.
Ciononostante, è comunque possibile addentrarsi in un’analisi che, pur non essendo universalmente valida a causa del variare delle singole voci da prodotto a prodotto, sia comunque in grado di offrire una visione generale dei vari elementi che contribuiscono ad arrivare al prezzo al pubblico.
Nel comparare i vari prezzi applicati al pubblico è possibile trovare rilevanti differenze tra un punto vendita e l’altro, nonostante questi facciano riferimento allo stesso prodotto. Queste differenze sono in gran parte dovute alla misura del ricarico (che può arrivare sino al 35/40% del prezzo finale) che il dettagliante applica al prezzo di listino, non esistendo un prezzo imposto.
La misura del ricarico dipende da molti fattori: i piccoli negozianti specializzati, molto diffusi in Italia, specie al centro-sud, dovranno applicare una percentuale di ricarico superiore, in ragione di spese proporzionalmente più alte, rispetto ai grandi catene o grandi centri commerciali i quali potranno utilizzare politiche di basso prezzo per i supporti musicali utilizzandoli come prodotti c.d. “civetta”. Di fatto, la maggiore difficoltà del negoziante di piccole dimensioni, è, indubitabilmente, quella di gestire il c.d. “magazzino”. Questo nonostante da anni le case discografiche attuino varie politiche commerciali intese a favorire la rotazione e la disponibilità dei prodotti presso i piccoli punti vendita.
Altra voce di costo che incide notevolmente sul prezzo finale è quella dell’IVA, la cui aliquota al 20% non solo è tra le più alte in Europa (in Francia ad esempio, incide per il 16%) ma risulta decisamente vessatoria se paragonata a quella di altri prodotti culturali, ad esempio quelli editoriali, che godono giustamente di un’imposizione pari al 4%. A questo riguardo, alcuni noti economisti (su tutti il Prof. Cnossen(1)) sostengono che l’abbassamento dell’IVA per i supporti fonografici non avrebbe ripercussioni significative sulle entrate statali. A un simile abbassamento si oppongono – incredibilmente – alcune associazioni dei consumatori, sostenendo che una simile misura favorirebbe le case discografiche caricando dell’onere derivante dal minor gettito fiscale tutti i consumatori. Pare peraltro del tutto evidente che una misura di contenimento dell’IVA andrebbe innanzitutto a vantaggio dei consumatori di prodotti culturali, quali incontestabilmente sono i supporti fonografici, e potrebbe dare nuovo impulso a un’industria che mai ha avuto – nonostante la sua natura e valenza – sovvenzioni, facilitazioni o sostegni di alcuna natura.
Un costo estremamente variabile è quello di fabbricazione. La cura con la quale è confezionato un cd, dal numero di pagine del libretto, alla presenza di testi e foto, al tipo di box utilizzato possono incidere sul prezzo finale nella misura, media, si badi bene, del 7%.
Naturalmente il prodotto cd non è certo il suo involucro, vi sono quindi le royalties che spettano all’artista. Come per ogni prestatore d’opera intellettuale, questi compensi hanno un range di oscillazione molto ampio.
Inoltre, sono generalmente corrisposti consistenti anticipi a fondo perduto, in particolar modo per gli emergenti, che hanno lo scopo di mettere l’artista in condizione di iniziare o proseguire il proprio lavoro. L’esborso di queste somme non va però inquadrato in un ottica limitata al singolo prodotto/album ma va vista nel quadro di un progetto più ampio di sviluppo artistico. Si tratta, in poche parole, di un investimento su quella che, mutuando impropriamente la terminologia di altri settori, potremmo forse definire “linea di prodotto”.
Questa è una delle funzioni principali delle case discografiche: finanziare e sostenere la ricerca di nuovi artisti. Secondo una ricerca inglese, infatti, le industrie discografiche investono in media il 12-13% del proprio fatturato in ricerca che – se confrontata agli altri settori industriali – risulta una delle percentuali più elevate in ricerca e sviluppo in rapporto all’esito.
Questi investimenti sono resi possibili dalla redditività dei prodotti di punta e del catalogo. Questo meccanismo, ora messo in grave pericolo dal dilagare della pirateria, è – allo stato attuale – l’unico che permette il finanziamento, lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti che non sono in grado di vendere a sufficienza per coprire le spese iniziali. In pratica un artista produce spesso il primo disco in perdita e si rifà gradualmente, (naturalmente non sempre) con i lavori successivi attraverso un percorso di sviluppo logico – artistico sul quale occorre effettuare notevoli investimenti.
Ulteriore voce di costo è data dai c.d. diritti fonomeccanici (SIAE) che gravano in misura fissa sul supporto, finendo con l’incidere per circa il 5% del prezzo finale al consumatore.
Vi sono poi i costi relativi a distribuzione e selling che rappresentano una voce non piccola, soprattutto ove si tenga conto delle minime dimensioni della maggioranza dei singoli punti vendita e della loro disomogenea collocazione geografica: in media si aggirano intorno al 5% del prezzo finale.
I diritti di licenza invece, variano di volta in volta e riguardano i casi nei quali si pubblichino album o brani (ad esempio nel caso di compilations) su licenza di un’altra casa discografica.
Anche i costi di registrazione possono variare in maniera notevole, dipendendo da molteplici fattori, non ultimo il tempo necessario: trattandosi dell’interpretazione di una creazione artistica, non è naturalmente contingentabile o quantificabile a priori. Si può andare dai 70 a oltre 400 milioni di vecchie lire
Una voce che incide pesantemente è quella di marketing e pubblicità/promozione: anche qui i costi possono variare in maniera notevole, in media vanno dai 100 agli 800 milioni (ma possono facilmente superare il miliardo se la campagna pubblicitaria passa – peraltro raramente visti i costi -in TV). Il solo costo del videoclip per un singolo brano varia dai 100 milioni al mezzo miliardo, dipendendo da qualità, location, regista, etc.
Infine, come per ogni intrapresa, vanno considerati i costi generali e di amministrazione.
Naturalmente per la maggior casa discografica italiana, la pirateria – che detiene oltre il 25% del mercato – la stragrande maggioranza dei costi indicati risultano assolutamente indifferenti in quanto totalmente a carico dei suoi competitors. L’incidenza è solo quella del costo di produzione e distribuzione (tra i più bassi naturalmente, visto che non corrisponde compensi agli artisti o paga le tasse) con invidiabili performances: contraffacendo i titoli che sono per definizione di successo non si corre neppure il rischio d’impresa.
Federico Kujawska
Ufficio stampa EMI
Note
1) Professor of Tax Law/Economics at the Economics Faculties of Erasmus University Rotterdam (EUR) and Maastricht University (MU), and Visiting Professor at New York University.