Il P2P, per intenderci il sistema utilizzato da Napster, e’ prima di tutto uno strumento di distribuzione di files.
Sotto il profilo tecnico quando ci colleghiamo ad un sito Internet il nostro computer, client, si collega ad un sito, server, che attende di essere chiamato.
Con i software della categoria P2P non e’ il server a diffondere i dati, ma gli utenti direttamente tra di loro.
Il problema nel P2P come nel web e’ trovarsi: nel web il problema tecnico e’ stato risolto attraverso i domini: digitando il dominio sia accede al sito, tramite un altro server che cambia il nome a dominio nell’indirizzo internet ip del sito web.
Nel web vi sono standard a cui tutti aderiscono.
Nel P2P ogni produttore del software ha creato il proprio standard, salvo poi proporre uno standard da condividere con chi lo desideri.
Cosi’ il produttore di Napster ha realizzato il software in modo che si colleghi ad un server messo a disposizione da Napster che contiene non solo l’elenco delle canzoni che ogni utente mette a disposizione, ma anche l’elenco degli utenti che in quel momento stanno usando il computer.
Per questo non c’e’ bisogno di appositi motori di ricerca, perché chi predispone il servizio ha gia’ realizzato nel proprio software le funzionalita’ piu’ diffuse.
Quindi: installo sul mio PC il software che si collega ad un server che mi dice chi c’e’ on line. Ogni altra operazione avviene direttamente tra gli altri utenti che in quel momento stanno usando il programma, senza coinvolgere il server se non per cercare.
Aspetti giuridici
Detto questo non resta che valutare se sia rilevante o meno per il diritto la totale decentralizzazione della comunicazione.
Ogni produttore di software peer to peer dichiara, nelle licenze, che non e’ responsabile dell’uso del software. E’ noto che questo software permette la diffusione di cultura e arti, ma anche e soprattutto di pirateria musicale, oltre che di contenuti pornografici e pedofili.
Il P2P non distingue i contenuti (se non di recente per semplificare la ricerca): ogni file può essere distribuito. Avendo a disposizione una connessione a larga banda si puo’ copiare un DVD in solo un’ora.
Ovviamente questo spaventa tutti gli editori e produttori, come all’epoca spaventarono le prime radio libere.
Ci siamo mai sognati di chiedere la condanna della Telecom per aver permesso la realizzazione di reati tramite telefono ? Certamente no, perché a Telecom e’ stato imposto di predisporre strumenti per poter intercettare, a richiesta, quello che viene detto. Cosi’ anche per i cellulari, le carte telefoniche.
Ma quando il soggetto interlocutore e’ uno solo, o pochi, e’ facile.
Il P2P e’ diventato uno strumento di distribuzione mondiale che consente realmente l’anonimato, e che spaventa per la possibilita’ che chiunque possa parlare con altri e scambiare informazioni.
Liberta’ di parola? No: liberta’ di condividere beni, materiali o immateriali.
In linea di principio potrei registrare una intervista e diffonderla via P2P: sarebbe essa soggetta al regime della comunicazione, o meglio, della pubblicazione, in quanto comunicazione rivolta ad un numero indeterminato di soggetti.
Si tratta, piu’ di frequente, di scambio di beni immateriali. Le radio pagano per trasmettere musica. Le radio on line stanno per pagare negli Usa, in Italia c’e’ gia’ una licenza sperimentale della Siae. Con il P2P vi sono archivi infiniti ove trovare qualsiasi cosa.
Ma perché sono state autorizzate a trasmettere le radio consentendo agli utenti di ascoltare gratis musiche, o televisioni a trasmettere film? Perché sono facili da controllare e perche’ comunque promuovono i prodotti. Con il P2P c’e’ un server che elenca chi e’ on line: su questo server si potrebbe intervenire, ma i P2P, ormai smaliziati, permettono la modifica del server, aumentando la difficolta’ di individuare una sede in una unica nazione, in modo da gestire il foro che possa sostenere meglio le proprie ragioni.
Nel frattempo gli utenti scambiano files e comprano piu’ dischi, cosi’ come avvenne per le prime radio libere.
Le case discografiche vogliono proteggere le proprie posizioni. I produttori invece sono piu’ sensibili nel vendere nuove apparecchiature di duplicazione, sempre piu’ sofisticati e potenti. E i consumatori vogliono prodotti sempre piu’ utili e convenienti. E’ il progresso, che talmente rapido, rischia di travolgere affermate imprese.
Questo conflitto di interessi, che il diritto e’ chiamato a risolvere, e’ nuovo. E’ nuovo perché mondiale, e nasce sul consenso di milioni di persone nel mondo che accettano di condividere materiale.
Diventa quasi secondario preoccuparsi della tutela del diritto d’autore in Cina, se in tutto il mondo si condivide di fatto la conoscenza, senza retribuire direttamente gli autori e i distributori.
Ma e’ in questo ultimo punto che si gioca la partita: i consumatori non vogliono pagare per quello che comprano, ma per altro, scavalcando la distribuzione. E la retribuzione avviene, solo talvolta, in un secondo momento: solo se piace, si va a comprare il disco, oppure si va al concerto dal vivo. In ogni caso chi ci rimette sicuramente e’ la distribuzione. Gli autori vengono solo remunerati in un secondo momento.
Tuttavia il meccanismo di remunerazione attualmente prevede la retribuzione anche degli intermediari: ecco la crisi economica del sistema di distribuzione dei beni immateriali.
Puo’ l’interprete affermare un principio in assenza di legge ? Non vi e’ lacuna per il nostro ordinamento. Tuttavia il compito e’ certamente arduo, perché il diritto segue la storia, e quando si trova a fare la storia si rischiano forzature e ingiustizie.
Napster chiude per debiti (processuali). Le case discografiche escono sconfitte perché sono nati decine di software simili non controllabili, e si stanno producendo nuovi strumenti per ascoltare la musica, compatibili mp3.
E’ il progresso: si portera’ numerosi cadaveri. Agli interpreti il compito, veramente difficile, di tutelare gli interessi in giuoco.
Non vorrei mai essere il giudice che debba decidere quale interesse prevale: in ogni caso qualcuno scomparira’ dal mercato. E non sono scelte facili.
Valentino Spataro
Direttore del quotidiano giuridico IusSeek.com
www.studiospataro.it